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Umberto Guidoni: «Ecco quale sarà il futuro dell’esplorazione spaziale»

04 Gennaio 2019 - 14:41 Juanne Pili
L'astronauta e astrofisico  più famoso d'Italia spiega il futuro dell'uomo nello spazio, dalla prima base in orbita lunare fino all'atterraggio su Marte

Il 2019 saràun anno particolarmente prolifico dal punto di vista dell'esplorazione spaziale. La cooperazione internazionale sarà decisiva se vorremotornare su Marte o sulla Luna. Ma per le missioni umane le cose si complicano, tenendo conto dei limiti del nostro corpo e delle attuali conoscenze. Sfide importanti per la ricerca scientifica e il progresso dell'umanità, come racconta a OPEN l'astronauta e astrofisico Umberto Guidoni: due missioni Shuttle alle spalle, oltre a essere stato il primo europeo ad aver fattovisita alla Stazione spaziale internazionale.

Le prossime missioni umane ci riporteranno sulla Luna

A capodanno gennaio New Horizons è riuscita a regalarci le prime immagini di Ultima Thule. Si tratta dell’avvicinamento a un oggetto spaziale più lontano che l'uomo sia riuscito a realizzare fino a oggi. Il 3 gennaio un rover dell’Agenzia spaziale cinese è allunatosul “lato nascosto” del nostro satellite naturale. Siamo diventati molto bravi nelle missioni automatiche e si prevedono nuovi passi avanti, ma per quanto riguarda le missioni umane il primo passo sarà emanciparsi dall'uso della navicella spaziale Soyuz- attualmente l'unica capace di fare questo genere di trasporto -per inviare gli astronauti nella Stazione spaziale internazionale (Iss).

Umberto Guidoni, ci spiega prima di tutto dove sono le basi lunari di cui si è parlato così tanto?

«Dopo la realizzazione della Stazione spaziale internazionale, si è cominciato a pensare a quello che sarà il prossimo passo. Per un periodo si è pensato a Marte, però oggi, viste anche le nuove indicazioni dell’amministrazione Trump, si pensa alla Luna come prossima destinazione. Non tanto per tornare sulla superficie lunare, ma per realizzareuna base intorno alla Luna. L'idea è che Deep space gateway diventi il punto di partenza per missioni successive.

«La Nasa sta realizzando un vettore (un razzo) che dovrebbe essere grande più di quello che ha portato i primi uomini sulla Luna (il Saturn V), denominato Sls (Space launch system) che dovrebbe essere utilizzato per portare in orbita i moduli necessari alla costruzione della base. La data iniziale di costruzione potrebbe essere il 2022, i lavori dovrebbero durare qualche anno,sarà di dimensioni ridotte rispetto a quelle della Iss e utilizzerebbe moduli simili; non sarebbero proprio uguali: una stazione in orbita lunare sarebbe più complicata da realizzare, tenuto conto delle condizioni generali in cui si troverebbe a funzionare».

Umberto Guidoni:

Il primo uomo su Marte ci sarà, ma dovremo prima risolvere diversi problemi

Per un eventuale viaggio su Marte sarà decisivo superare i limiti che il nostro stesso corpo ci pone, senza contare che se qualcuno dovesse farsi male non potrebbe essere rispedito indietro, né sarà possibile allestire un’infermeria a bordo, rappresenterebbe un peso eccessivo. Forse è troppo presto parlare di una missione umana su Marte entro il 2030?

«Ciòdi cui abbiamo parlato fino ad ora riguarda tecnologie che tutto sommato conosciamo, già sperimentate nella realizzazione della Stazione spaziale, modificate per l’occorrenza. Andare su Marte è tutt’altra storia. Intanto i tempi di viaggio sono molto più lunghi: se per arrivare sulla Luna ci vuole qualche giorno, per Marte ci vorrebbero dai sei agli otto mesi, senza contare che comunque la missione non potrebbe durare meno di due anni, perché andata eritorno devono avvenire quando il pianeta è più vicino alla Terra, il che avviene in due anni.

«Tutto questo ha delle conseguenze sulla complessità del veicolo, sia per il trasporto degli astronauti, sia per le condizioni in cui si troveranno a vivere. L’assenza di peso ha un effetto debilitante sul corpo umano, rende le ossa più fragili e i muscoli più deboli, come abbiamo visto anche con gli astronauti che rientrano dalla Stazione spaziale: non sono in grado di muoversi da soli all’inizio, hanno bisogno di una fase di recupero delle forze, ma su Marte ovviamente non ci sarà un ospedale ad aspettarli. Su questo dovremo ragionare​​. Ci sono due aspetti su cui si può lavorare: uno è quello di ridurre l’impatto dell’assenza di peso, creando delle situazioni di “gravità artificiale” [con la rotazione di un modulo è possibile creare una “imitazione” della forza di gravità, mediante la forza centrifuga (ndr)]; l’altro è che fortunatamente su Marte la gravità corrisponde a 1/3 della nostra. In ogni caso, ci vorranno un paio di decenni, come minimo,prima di poter avere una missione con equipaggio a bordo. Con buona pace di Elon Musk che continua a dire di poterci andare fra una decina d’anni».

Umberto Guidoni:

Il progresso nell'esplorazione spaziale dipenderà dalla cooperazione internazionale

C’è qualche progetto che staseguendo con particolare interesse?

«L’Italia è impegnata in una serie di programmi internazionali e quasi tutte le sonde che sono atterrate su Marte in questi anni sono partite sulla base anchedi esperimenti italiani, o della partecipazione di gruppi italiani di ricerca. Questo è lo spirito con cui si fanno queste cose ,ormai da decenni. Quella spaziale è una attività di collaborazioneinternazionale, e speroche continui così. L’esempio della Iss è stato, secondo me, molto interessante da questo punto di vista. Al di là degli aspetti scientifici, che pure sono notevoli, il dato importante è che nello Spazio abbiamo dimostrato che grazie alla collaborazione internazionale si possono ottenere risultati altrimenti irraggiungibili.

«Voglio ricordare che se la Stazione spaziale continua a funzionare è grazie al fatto che alla missione lavorano anche irussi. Da quando lo Shuttle è stato messo a riposo si continua a salire con le Soyuz, anche se dall’anno prossimo – o, forse, a partire da questo – se saremo fortunati, arriveranno le prime capsule private, come quella di SpaceX, che porteranno i primi astronauti della Nasa con un veicolo americano. Per otto anni il mantenimento in orbita della Stazione spaziale è stato possibile grazie ai russi e a veicoli europei e giapponesi (per il rifornimento).

«Grazie allo sforzo di tutti questi paesi è stata mantenuta in orbita una struttura che altrimenti sarebbe andata perduta. Credo che questo esempio sia molto utile anche per il futuro. Sicuramente il veicolo che la Nasa sta costruendo vede la partecipazione dell’Europa: la capsula si chiama Orion e si muoverà in direzione Luna. Il primo volo di prova ci sarà entro il 2021. La capsula è costruita dalla Nasa ma il modulo di servizio – che contiene i pannelli solari e i sistemi di controllo – è costruito dall’Esa, quindi l’Europa è già partner di questo sforzo».

Umberto Guidoni:

A cosa serve spendere tanti soldinell'esplorazione spaziale?

Il progresso nel campo dell’esplorazione spaziale è evidente anno dopo anno. Ma alcune cose rimangono costanti, come la domanda “a che serve?

«Questa è una domanda che, purtroppo, mi viene fatta spesso. Ovviamente capisco il ragionamento da cui parte, ma va nella direzione sbagliata. Certamente ci sono tante urgenze sul nostro pianeta,che meriterebbero maggiore attenzione da parte della politica e dell’economia, anche riguardo alle risorse per i paesi più poveri, la mancanza di cibo e acqua.

«Ma secondo quale ragionamento queste risorse sarebbero più disponibili se smettessimo di fare le missioni spaziali? Non sono queste che tolgono risorse alle missioni umanitarie o alla sanità, rispetto allespese militari o voluttuarie. Nei paesi più ricchi come gli Stati Uniti si spende molto di più in pizze che per l’attività spaziale. Non voglio privare l’umanità della pizza, però questo ci dà l’idea del fatto che non si spende in realtà così tanto nello Spazio, si tratta di briciole.

«Sì è vero, non sappiamo a priori dove ci porterà l’esplorazione spaziale, ma sappiamo senz’altro che se non facciamo ricerca probabilmente tra venti o trent'anni non avremo risposte a tante domande che oggi ci poniamo e che riguardano il nostro pianeta. E'vero che lo Spazio da solo non risolve i nostri problemi, ma magari qualche tecnologia che viene messa a punto per andare nello Spazio potrebbe un giorno rispondere alle esigenze che abbiamo sulla Terra.

«Tanti sono gli esempi, più o meno recenti: i pannelli solari che oggi quotidianamente usiamo sono stati impiegati per la prima volta nello Spazio; le celle concombustibile a idrogeno di cui tanto si parla per risolvere il problema dell’inquinamento (come nelle auto), sono state sviluppate nello Spazio, nei programmi lunari e negli Shuttle. Quei dispositivi che una volta erano costosi e difficili ma necessari per l'esplorazione cosmica, oggi sono disponibili anche per l’utilizzo sulla Terra.

«Questo è il vantaggio della ricerca nello Spazio: è un ambiente talmente ostile, in cui è difficile sopravvivere, che devi mettere a punto le tecnologie più avanzate, puntando a tecniche che altrimenti non avresti possibilità di sviluppare. Lo Spazio, in qualche modo, è una palestra in cui ti eserciti a fare cose complesse che all’inizio potrebbero sembrare inutili, ma, poi,scopri che possono essere decisive anche sulla Terra.

«Un giorno andremo su Marte, questo cambierà il nostro stile di vita? Difficile fare previsioni. Quando, secoli fa, Colombo arrivò in America questo non cambiò molto la vita di tutti. Oggi possiamo dire che quella esplorazione ha cambiato la Storia dell’umanità».

Umberto Guidoni:

Quando torni sulla Terra la sensazione è quella di aver sbagliato pianeta

Certamente il problema di imbarcare troppo peso è uno dei fattori che frenano l’esplorazione umana nelle lunghe distanze, ma il tempo forse è anche peggio, il corpo umano non è fatto per stare nello Spazio, questo comporta delle conseguenze nel lungo periodo. Leicome si è trovato a dover tornare a convivere col proprio peso?

«Be’ in realtà è molto più facile abituarsi all’assenza di peso. Quando arrivi nello Spazio dopo che sei stato lanciato, sotto l’effetto dell’accelerazione – per tre-quattro minuti, sei molto più pesante che sulla Terra – di colpo arrivi in orbita e sei senza peso. Galleggi e sei libero di muoverti davvero in tutte le direzioni.

«Questo comporta delle difficoltà all’inizio di orientamento – non si capisce più cosa è “alto”, cosa è “basso” – anche il corposubisce delle modifiche, il sangue si sposta verso la testa, quindi sei un po’ disorientato, però questi effetti alla fine nell’arco di qualche ora (al massimo per chi ha più problemi, un paio di giorni)spariscono. Dopo un po’ ti trovi in un ambiente completamente nuovo, ma tutto sommato abbastanza a tuo agio.

«Quando torni sulla Terra – dove hai vissuto tutta la vita – e torni a sentire il peso, cominciandoa camminareti rendi conto che è difficilissimo. Nelle missioni sullo Shuttle non si rimaneva in orbita per più di due settimane, quindi gli effetti sono notevoli ma non tali da impedirti di camminare, però ci riesci a malapena, tutto ti sembra pesante.

«La prima sensazione che ho avuto quando sono atterrato è stata che avessimo sbagliato pianeta. La gravità sembrava più forte. Naturalmente era solo una sensazione soggettiva. Però ci vogliono diversi giorni per tornare completamente alla normalità. Le prime ore sono quelle più difficili, ma anche dopo – anche se riesci a camminare – hai comunque la sensazione di stare in un ambiente che non è il tuo, torni alla normalità dopo qualche giorno.Oggi con astronauti che restano in orbita per diversi mesi, la situazione è ancora più “grave”. Chi torna dalla Stazione spaziale non è in grado neanche di sollevarsi in piedi».

Forse perché in assenza di peso ci si diverte di più?

«Non c’è dubbio. L’assenza di peso ti permette di esplorare una libertà di movimento mai provata sulla Terra. Ha anche i suoi aspetti negativi, le cose che normalmente sai fare sulla Terra nello Spazio non funzionano: non cammini; non puoi prepararti il cibo; andare in bagno è complicato… tutto un altro mondo, che devi imparare a conoscere. I primi giorni si torna un po’ bambini, perché devi imparare le cose che sapevi fare sulla Terra in un modo del tutto diverso».

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